LA TUTELA PENALE E CIVILE DEL PADRE SEPARATO
Dopo tre anni di matrimonio e pur essendo padre di un bambino di due anni, un uomo si trova costretto a lasciare l’abitazione coniugale per salvaguardare non solo la propria integrità psichica, minata dalle offese e denigrazioni quotidianamente inflitte dalla moglie, ma anche e soprattutto l’integrità psichica del bambino, che già manifestava segni di turbamento a fronte dei continui litigi dei genitori.
Si ritrova, così, con i soli effetti personali e lo stipendio decurtato dal duplice obbligo di contribuire al pagamento del mutuo contratto per l’abitazione coniugale e di provvedere al mantenimento del bambino, nonché dalla necessità di sostenere il costo della propria sistemazione abitativa.
In questa situazione economicamente gravosa, viene privato anche dell’unica gioia costituita dal contatto con il figlio, strumentalizzato dalla madre a scopo vendicativo.
Dopo quattro mesi di attesa, il padre ottiene dal Giudice il riconoscimento del diritto di “ampia facoltà di visita e di tenere con sé il minore”, arbitrariamente limitato dalla madre a tre giorni la settimana, per meno di due ore in ciascuno di essi, con qualche ora in più la domenica ma a settimane alterne. Tuttavia, essendo inibito l’accesso all’abitazione coniugale, il tempo da trascorrere con il figlio può essere impiegato solo per passeggiate all’aperto, senza una effettiva possibilità di svolgere le funzioni di assistenza, educazione e cura del minore.
A fronte delle condotte offensive e ostruzionistiche della moglie, la tutela penale del padre separato può essere affidata alle seguenti fattispecie incriminatrici:
maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.): la Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo cui i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali e ingiuriose poste in essere abitualmente nei confronti del coniuge, possono configurare tale reato qualora realizzino un regime di vita avvilente e mortificante.
Per la stessa Corte la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza, per cui nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, ossia atti di sopraffazione sistematica che rendono particolarmente dolorosa la stessa convivenza (Cassazione penale, sez. VI, 16.11.2010, n. 45547; 20.09.2011, n. 41011).
Tra i coniugi, il reato si configura anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, restando integri anche in tal caso i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale (Cassazione penale, sez. VI, 27.06.2008, n. 26571).
sottrazione di minore (art. 574 c.p.) e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.):
per la Corte di Cassazione integra il reato di sottrazione di minore la condotta della madre affidataria che allontana il figlio dal padre, qualora tale condotta determini un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà del padre, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, ledendo il bene giuridico tutelato dalla norma e da individuarsi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale (Cassazione penale, sez. VI, 15.10.2009, n. 42370).
Per la stessa Corte tale norma concorre con il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice concernente l’affidamento di minori, attesa la differenza dei rispettivi elementi strutturali che esclude il rapporto di specialità, dal momento che la prima fattispecie, mirando a tutelare il legame fra minore e genitore, si incentra sulla rottura di tale legame attraverso la sottrazione, mentre l’altra si fonda sulla elusione del provvedimento del giudice (Cassazione penale, sez. VI, 07.02.2006, n. 8577).
In sede civile l’art. 709ter c.p.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, attribuisce al Giudice il potere di ammonire, condannare al risarcimento dei danni in favore del coniuge o del minore o condannare al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria il genitore responsabile di gravi inadempienze nello svolgimento delle modalità di affidamento del figlio.
E’ auspicabile, soprattutto in presenza di minori di tenera età, che al genitore non assegnatario dell’abitazione coniugale sia riconosciuto il diritto di trattenersi nell’abitazione stessa insieme al figlio, in modo da consentirgli di esercitare in modo più naturale e senza traumi per il bambino il diritto di educare e prendersi cura del figlio.
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